Largo ai GIOVANI! È il momento di investire sulle nuove generazioni. Senza di loro non c’è futuro

È uscito il numero di marzo di Direzione del Personale, 2021, 196
Con i contributi di: Carlo Cottarelli, Maria Cristina Origlia, Tito Boeri, Massimiliano Santoro, Paolo Iacci, Alessandro Rosina, Daniele Novara, Sonia Rausa, Manuel Brandini, Francesca Saia, Nicola Rossi, Luca La Mesa, Gilda Serafini, Giacomo Bandini, Eleonora Voltolina, Derek Bruce, Elio Vera, Isabella Covili Faggioli, Marianna Rotolo, Bruna Nava, Adriana Velazquez, Rita Melcarne, Martina Beldente, Roberto Monti, Laura Bruno, Francesco Veneziani, Renato Boccalari, Massimo Begelle, Francesco Rotondi, Filippo Capurro, Giuseppe Varchetta, Marco Lombardi, Andrea Martone

Il futuro non avrà i nostri occhi

 “Tutto ciò che non si rigenera degenera” E. Morin

Il futuro dell’Italia è segnato da tre grandi processi interconnessi tra loro, accentuati dalla crisi pandemica ma già presenti da decenni: una diminuzione della natalità spaventosa che ha raggiunto nel 2020 il record con poco più di 400.000 nuovi nati (la metà rispetto agli Anni ‘50 del secolo scorso), l’invecchiamento della popolazione e il calo degli abitanti complessivo.  Con una diminuzione prevista di circa 4.5 milioni di abitanti nei prossimi decenni (dati Censis), si prospettano enormi problemi di debito pubblico, di spesa sociale e di produttività oltre ad un’ulteriore perdita di peso politico sui tavoli internazionali.

Stante questa situazione non sarà facile prendere decisioni, soprattutto impopolari, che potranno minimamente compensare la perdita di produzione ma senza dubbio occorrerà uscire dalla logica congiunturale delle operazioni di piccolo cabotaggio per cercare di riguadagnare una visione prospettica del futuro. Noi di Direzione del Personale abbiamo, quindi, scelto di affrontare un pezzo di questo elefante partendo dalla riconsiderazione di quelli che saranno i protagonisti di questo futuro incerto: i nostri ragazzi. Anche perché potranno essere i primi nella storia recente a essere destinati a un futuro peggiore rispetto a quello che si prospettava per i loro genitori. Un evento senza precedenti.

La prima considerazione in merito riguarda un mancato riconoscimento identitario che il nostro Paese ha espresso più di tutti gli altri nei confronti dei giovani investendo pochissimo su di loro, sull’educazione e sugli insegnanti. Ne abbiamo avuto un’ulteriore dimostrazione durante il Covid quando il governo si è occupato principalmente di dove mettere fisicamente i ragazzi e non di come preparare loro e gli insegnanti alla didattica a distanza. Questo misconoscimento potrebbe avere conseguenze gravi in termini di assunzioni di responsabilità che dovranno prendersi le nuove generazioni. Intendo dire che noi con il nostro “sguardo” sui giovani stiamo già modificando il loro futuro: se non diamo loro importanza oggi e non li mettiamo al centro delle nostre politiche e soprattutto del nostro tempo, sarà difficile ricevere reciprocità e sacrifici quando ce ne sarà bisogno. Come ha detto il filosofo Carlo Sini “il futuro non avrà i nostri occhi” ma è il modo di guardare di oggi che determinerà molto del nostro domani. Eppure quando poi le cose succedono ci scopriamo strutturalmente impreparati e parliamo di imprevedibilità. Io parlerei più di rimozione.

In altre parole, l’incertezza attuale e la nostra incapacità di fare previsioni e fermare l’ineluttabile ci hanno fornito l’alibi per distogliere l’attenzione dalla formazione dei giovani.

C’è qualcosa di patologico nell’assenza di dibattito sull’istruzione e una colpevole distrazione collettiva. È il riflesso di una società anziana concentrata su se stessa e sulla conservazione del proprio potere e benessere. Così tanto da generare un esodo continuo dei nostri migliori studenti verso l’estero a cui non corrisponde un analogo flusso di studenti stranieri verso il nostro Paese. Questa stessa incertezza, che nasce dalla paura di un futuro che sembra non essere sotto il nostro controllo, costituisce una proiezione psicologica più o meno consapevole sulle giovani generazioni, una sorta di minaccia identitaria che può incidere sul loro senso di fiducia collettivo e, in ultima analisi, sulle loro potenzialità

Concretamente si rischia con quest’ultima crisi di assistere non solo all’aumentare dei disoccupati ma anche ad un ulteriore calo delle immatricolazioni universitarie (era già successo con la crisi finanziaria del 2008) che potrà andare ad incrementare il già altissimo numero di Neet (Not in education, employment or training, dato ISTAT del 2018), già oggi superiore ai due milioni.

Rispetto a questo fenomeno un nostro impegno, in termini di tempo e di energia, è un atto dovuto alle nuove generazioni e a noi stessi: non possiamo farci sorprendere, al solito, impreparati. Ci sono molte cose che si potrebbero fare. Le imprese private potrebbero offrire formazione agli insegnanti, adottare scuole o semplicemente qualche giovane del territorio che non studia e non lavora offrendogli delle occasioni di apprendimento (a Milano esiste ad esempio la formula della Borsa lavoro sostenuta dal Comune). O offrire borse di studio e finanziare le idee innovative (come ad esempio avviene al Politecnico di Milano con il Polihub).

Credo che il nostro compito sia quello di fare da “connettori carismatici”, per usare le parole del fisico Alex Pentland, ovvero coloro che, essendo esperti di relazioni, possono creare collegamenti, individuare logiche implicite e sviluppare occasioni-ponte di apprendimento.

Non elimineremo l’incertezza, al massimo potremo negoziarci. Ma vale la pena  supportare i giovani ad allenarsi a questa negoziazione affrontando l’inatteso, la parzialità, l’errore, guadagnando informazioni strada facendo e spronandoli nel contempo a non abbandonare i loro sogni. In questi mesi abbiamo speso molte parole dicendo che non saremo più come prima, ma il rischio invece è quello di rimanere quelli di sempre e di prendere la scusa per cambiare ancora di meno e non fare ciò che costa fatica e non sembra avere una resa immediata. Più della resilienza, di cui si è parlato anche troppo, più che di una riforma, struttura ormai svuotata di reale fattività, più che di processi e di dichiarazioni di intenti, per riagganciare il tema dei giovani serve un’intenzionalità consapevole su questo vitale tema per mettere a terra azioni e progetti concreti.

dall’editoriale di Maria Emanuela Salati


Direzione del Personale
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