La gender equality come leva manageriale

Il Gender Gap Report del World Economic Forum 2022 conferma il ranking 2021 dello European Institute for Gender Equality (EIGE): l’Italia è agli ultimi posti in Europa per partecipazione femminile all’economia e opportunità di affermazione professionale. Siamo al 25° posto per tasso di partecipazione alla forza lavoro e parità retributiva, al 24° per aspettative di reddito e presenza femminile in posizioni apicali.

 

L’inopportunità di questo stato di cose è ampiamente argomentata, così come la sua giustificazione culturalista: la discriminazione delle donne è radicata nella cultura nazionale, rispetto alla quale la singola impresa sarebbe impotente. Eppure, le prassi discriminatorie nelle relazioni di lavoro possono essere portate alla luce e modificate in ogni singola impresa, che farebbe così la propria parte nella auspicata trasformazione culturale. In questa prospettiva, la parità di genere diventa (anche) una questione organizzativa, e sollecita l’elaborazione e l’utilizzo di una specifica strumentazione manageriale.

 

Lo hanno affermato tra i primi EIGE e ILO, indicando nel gender audit una pratica utile a fotografare la situazione organizzativa in chiave gender e a prefigurarne il miglioramento. Bilanci di Genere e Gender Equality Plans (GEP) rispondo alla medesima esigenza. In tutti i casi, un elemento chiave della fotografia della situazione organizzativa è l’oggettivazione quantitativa della gender equality, e cioè la selezione delle sue dimensioni costitutive e la loro successiva misurazione. Ciò può essere fatto con diversi livelli di sofisticazione. Al livello più semplice troviamo la checklist, che consente di rilevare la presenza/assenza delle pratiche, policy, dispositivi organizzativi selezionati e comporle additivamente in un giudizio di in/appropriatezza dell’organizzazione rispetto alla parità di genere. Al livello più sofisticato troviamo i modelli matematici, che utilizzano decine di variabili/indicatori organizzativi selezionati e le computano in un indice composito, cioè una misura numerica della gender equality dell’organizzazione.

 

Maggiore la sofisticazione del metodo di misurazione, maggiore la sua capacità diagnostica. Se la checklist consente unicamente di individuare le dimensioni che determinano l’inappropriatezza dell’organizzazione, l’utilizzo di un modello matematico di misurazione della gender equality, come quello messo a punto dalla start up universitaria IDEM – Mind The Gap, consente invece sia di valutare puntualmente quanto le singole variabili impattano sulla misura della gender equality, sia di prefigurare, mediante analisi di sensitività, come migliorerebbe la gender equality allorchè, in un determinato orizzonte temporale, si intervenisse su singole variabili (es: numero di donne in posizioni manageriali) o su gruppi di variabili (es: discriminazione retributiva netta, percentuale di donne con retribuzione variabile, posizionamento retributivo rispetto al mercato di riferimento). È nostra convinzione che solo in questo modo, associando la misurazione (giocoforza sofisticata) alla progettazione della road map di miglioramento organizzativo, la gender equality diventi a tutti gli effetti una leva manageriale azionabile, con propri budget e KPI, e permetta alle imprese genuinamente interessate alla parità di genere di contribuire al suo perseguimento, aziendale e di sistema.

Tindara Addabbo  Componente del Comitato Scientifico della start-up universitaria IDEM-Mind the Gap.

 Tommaso Fabbri Professore Ordinario di Organizzazione e Gestione delle Risorse Umane all’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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