LA MEMORIA AL PRESENTE
In un mondo in cui si è tentati di dimenticare o ignorare troppo, la riconquista del nostro passato collettivo dovrebbe essere tra i primi progetti per il nostro futuro
(U. Eco)
La memoria organizzativa, a cui dedichiamo il tema del giorno di questo numero, è un’espressione comune, a volte abusata, di cui si è perso il senso profondo se non per un suo utilizzo pratico di ricerca di informazioni utili alla prestazione. Ma ciò a cui vogliamo fare riferimento qui non è solo la gestione della conoscenza ma quel sedimentato collettivo che costituisce il vero ancoraggio dei comportamenti organizzativi e su cui si fonda la cultura organizzativa.
La memoria organizzativa non è un processo lineare e neanche oggettivo ma piuttosto la somma dei vissuti individuali dell’organizzazione continuamente reinterpretati alla luce di nuove esigenze ed emergenze. Per questa ragione ha senso parlarne: la memoria ha più a che fare con il futuro che con il passato perché ci consente di congedarci dalla stretta visione dell’io, dal tempo individuale, per attingere ad un sapere collettivo condiviso che ci potrà guidare nelle scelte a venire.
Il più delle volte, infatti, il futuro che riusciamo a pensare, e in cui riusciamo a credere, è largamente influenzato dai contenuti dei ricordi e dalle loro emozioni. È dal passato che è possibile trarre motivazione ed energia, soprattutto collettivamente, ovvero far crescere il desiderio di una nuova meta condivisa. E quando si smarrisce questo legame, quando si crea una frattura con la storia, si vive uno stato depressivo dell’organizzazione per il cedimento delle fondamenta della memoria (e spesso per il disconoscimento di tutto quello che si è fatto prima), tanto da dover ricominciare da capo con una nuova storia e nuove persone. La memoria, quindi, ha la sua ragion d’essere nel presente ed è un impegno per il domani. È nella memoria che i fatti possono trovare il loro senso, che gli eventi si trasformano in esperienza e possono essere utilizzati. Per questo ci occorre memoria, e ci occorre averne cura, per ricostruire ex post come siamo arrivati ad oggi e che possibilità potremo avere nel futuro.
In questa logica i musei aziendali, i libri di storytelling organizzativi, le mostre fotografiche, i percorsi di formazione, gli eventi sulla cultura organizzativa, gli archivi informatici, gli esempi dei maestri, i riti, trovano un senso che non è solo celebrativo o rievocativo ma che è fondante dell’identità che si vuole costruire, sono il cemento della casa che si vuole costruire. Le storie sono elementi fondamentali per sviluppare cittadinanza organizzativa perché consentono a persone molto diverse tra loro di trovare gli elementi comuni del loro vivere l’organizzazione e il lavoro, riutilizzando tutti quegli elementi di cui vale la pena essere eredi.
In questo senso si può dire che la memoria cambia (al contrario del passato inteso come succedersi di eventi lineari che rimangono immutabili), perché viene reinterpretata ogni volta e perché cambiano gli sguardi verso ciò che è trascorso. Del resto, sappiamo dalle neuroscienze che il processo di memorizzazione del cervello funziona proprio così: le connessioni neurali non sono precostituite, ma si adattano continuamente in quanto il cervello si riorganizza in risposta a nuove esperienze tanto da rendere i ricordi delle ricostruzioni per nulla affidabili rispetto all’evento originario.
Certo la memoria può essere anche un peso, portare traumi o ferite, per questo all’interno troverete anche un contributo sull’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) ovvero un vero e proprio trattamento psicoterapeutico di traumi e microtraumi che aiuta a farci rielaborare le nostre memorie che spesso ci intralciano nel lavoro quotidiano. L’uso dell’EMDR si sta diffondendo nelle organizzazioni come strumento di supporto al benessere individuale soprattutto nei casi di disturbo da stress post traumatico.
Anche la dimenticanza dovrebbe, quindi, far parte della memoria. A volte dimenticare è necessario per ricominciare. Il premio Nobel per la letteratura Abram Yehoshua ha sostenuto che gli israeliani e i palestinesi peccano di un “eccesso di memoria” e continuano a recriminare il passato senza essere capaci di dimenticare.
Per questo è così importante nelle organizzazioni saper trovare il giusto equilibrio tra tradizione e innovazione, tra orgoglio per il passato, fonte di senso, e l’ambizione che spinge al progredire continuo.
È in questa dialettica che si costruisce una sana cultura organizzativa e si genera il cambiamento nelle organizzazioni. È in questa dialettica che si può trovare la giusta valorizzazione dei senior, testimoni della storia organizzativa, e dei giovani, spesso accusati di scambiare l’informazione per competenza e di sottovalutare il valore dell’esperienza e della riflessione sull’esperienza come momento imprescindibile per l’apprendimento.
Memoria significa, allora, recuperare in modo selettivo e ricostruire dal passato – la storia è sempre una ricostruzione ex post – magari per cercarvi esempi di solidarietà e di cooperazione organizzativa, non solo le storie dei successi eclatanti; esempi forse rimasti nell’ombra ma non per questo meno rilevanti e utili per rafforzare i valori fondativi. Questa . la Memoria che può diventare uno strumento di fiducia e rafforzare l’orientamento al futuro.
Dall’editoriale di
Maria Emanuela Salati
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