DIREZIONE DEL PERSONALE 203 | NUOVI PARADIGMI

VERSO NUOVI PARADIGMI. QUALI?

+800 partecipanti
2 eventi digitali di avvicinamento
+50 speaker
35 partner e sponsor di eccellenza
1 concorso
17 tappe precongressuali
5 charity partner
+1000mq di foyer per stare insieme
20 aree di lavoro AIDP
5 Bologna experience
3 sessioni parallele
1 app
4 social dedicati
1 percorso di certificazione

 

Il Congresso di Bologna è stato uno tra i più ricchi e densi della nostra Associazione.
Non a caso. La pandemia ha accelerato determinati macro-processi economici e    sociali, rendendo più evidenti e chiari alcuni nuovi paradigmi che caratterizzeranno          gli anni duemila. Vediamo quali.

Il primo cambio di paradigma:dal capitalismo degli shareholder, al capitalismo degli stakeholder. Il nuovo secolo ha visto l’irrompere di una nuova forma di capitalismo, che molti commentatori hanno definito con il termine di “capitalismo inclusivo”. Già nel 2019 la Business Roundtable, l’associazione che coinvolge i 181 CEO delle principali imprese americane, aveva sancito, in un documento ufficiale, che il fine ultimo delle imprese non può essere unicamente la massimizzazione del profitto per gli investitori, ma deve tener conto dell’interesse di tutti gli stakeholder: dipendenti, fornitori, clienti, comunità locale, società civile, salvaguardia del pianeta. Si parla, infatti, del superamento del capitalismo finanziario verso un capitalismo più inclusivo, che tenga conto dell’interesse di tutti. Il profitto rimane un elemento indispensabile, ma non fine a se stesso: deve essere volto alla continuità dell’impresa stessa. Questa “rivoluzione”, per dispiegare appieno i suoi effetti, avrà però bisogno di un certo periodo di tempo. Non si tratta di cambiare un pezzo ad una macchina, ma di dar vita a un processo di maturazione che non potrà essere semplice e lineare perché comporta il dare un nuovo senso e valore al lavoro e al “fare impresa”.
Il tema della sostenibilità e dell’inclusione come elementi primari del fare impresa nascono da questa trasformazione capitalistica che stiamo vivendo in questi anni. La sostenibilità non va però intesa solo come difesa dell’ambiente, ma in senso più lato come gestione di un’impresa sostenibile da tutti i portatori di interesse.

Il secondo cambio di paradigma: “il rapporto gerarchico passa dal comando/controllo alla determinazione degli obiettivi/monitoraggio dei risultati”. La quarta rivoluzione industriale, con l’affermarsi assoluto del digitale, modifica profondamente l’assetto base dell’impresa per come l’abbiamo conosciuta nel secolo passato: l’unitarietà di tempo e spazio.
Oggi si può fare impresa lavorando ovunque e in qualsiasi momento. Ovviamente sto estremizzando, perché non dobbiamo mai dimenticare che le aziende sono comunità che per vivere hanno bisogno di socialità attiva. È però vero che oggi la più grande azienda di trasporto automobilistico privato (Uber) non possiede nemmeno un’auto, che la prima azienda di locazioni al mondo (Airbnb) non possiede neanche un hotel, che la più grande azienda commerciale (Amazon) non possiede neppure un negozio, e potremmo continuare. Sono cambiate le strutture e le modalità del fare impresa. Il lavoro da remoto, inoltre, ha modificato il paradigma del rapporto gerarchico. Siamo passati da meccanismi di lavoro basati sul comando/controllo ad altri, fondati dal rapporto “fissazione obiettivi/monitoraggio dei risultati”. Questo implica molta più delega, maggiore responsabilizzazione, maggiore pianificazione, competenze decisamente più ampie e aggiornate, necessità di una formazione continua per tutti i lavoratori, a qualsiasi livello della scala gerarchica. Per fare tutto questo è necessario un focus particolare sulle persone, sulla loro competenza, sulle loro motivazioni, sul loro sentimento di appartenenza. Dovremo investire molto di più in formazione di base e in aggiornamento costante. Non possiamo più pensare ad una vita spaccata in due. La prima parte rivolta all’educazione e la seconda al lavoro. Sempre più dovremo pensare a modelli di lifelong education.

Il terzo cambio di paradigma: “dalla centralità del lavoro alla centralità del binomio vita e lavoro”. La pandemia ha spinto la grande maggioranza delle persone a riflettere sulla propria vita e a ridefinirne le priorità. La salute, la famiglia, gli affetti e la felicità vengono considerati come molto più importanti del semplice successo lavorativo fine a se stesso. Nel mondo contemporaneo il produrre è divenuto un dovere. Prima abbiamo celebrato il lavoro come mezzo di sviluppo infinito e di benessere, ma poi ne siamo divenuti vittime. Dalla pandemia emerge la necessità di un profondo ripensamento della nostra vita, di come la conduciamo e di che cosa ci possiamo aspettare nel prossimo futuro. Molti si stanno ritraendo da un mondo del lavoro che si sta mostrando poco attento alle necessità del singolo. Si prende tempo per riflettere. È il segno di uno spaesamento non ancora finalizzato. Sicuramente, anche in questo caso, stiamo assistendo a un cambio di paradigma sul versante della percezione delle persone verso l’azienda. Il lavoro come tale non è più l’elemento centrale.
Oggi il focus è sul binomio vita-lavoro. Il tema dell’occupazione, della stabilità e della giusta remunerazione rimane, ma è integrato dalla necessità di poter agire un lavoro che possa avere un suo significato intrinseco. Assistiamo a un’urgenza di senso per ciò che riguarda l’esperienza lavorativa. Non solo. Le persone non sono più disposte a tutto pur di lavorare.
L’ambiente di lavoro, il rapporto con i colleghi, la piacevolezza del sistema in cui si è inseriti diventa parte importante nella scelta del lavoro. La bellezza e il benessere incontrano la necessità dell’occupazione. La richiesta di felicità s’impone all’attenzione di chi credeva che le persone potessero rimanere nella propria azienda solo per un fatto economico. Il denaro è sempre meno la merce di scambio del lavoro salariato.

Il quarto cambio di paradigma:dalla centralità delle politiche passive alla centralità delle politiche attive del lavoro“. Dalla pandemia abbiamo imparato tre cose: la prima riguarda i nostri limiti. È stato uno schiaffo al senso di onnipotenza dell’uomo che invece improvvisamente si è scoperto piccolo e fragile. La seconda riguarda l’importanza della conoscenza.
Nel nostro Paese abbiamo toccato con mano il peso di una cultura antiscientifica e abbiamo il 27% di analfabeti funzionali. È necessario un investimento sull’istruzione. Il terzo insegnamento riguarda il valore della solidarietà. Il fatto che ognuno di noi dipende dall’altro. Senza il reciproco aiuto nessuno sarebbe potuto tornare ad una vita normale. Questo vale sul versante sociale come su quello economico e occupazionale. Malgrado questa evidenza, però, il mismatch tra domanda e offerta del lavoro si sta ampliando. La velocità sempre maggiore dello sviluppo della tecnologia necessita di personale competente e costantemente aggiornato. Il Paese si sta pericolosamente spaccando in due. Vi è una parte produttiva che cresce a una velocità decisamente più rapida dell’altra parte. La prima è sempre più agganciata al carro dell’Europa, la seconda arranca e comprensibilmente chiede aiuti e ristori. C’è un proverbio attribuito (pare erroneamente) a Confucio, che sostiene: “Date a un uomo un pesce e mangerà un giorno. Insegnategli a pescare e mangerà tutta la vita”. La situazione economica del Paese non consente più di dare pesci ad infinitum senza consentire il diritto/dovere di pescare.

Il quinto cambio di paradigma: “dall’egosistema all’ecosistema”. La gestione di questi nuovi paradigmi richiede una leadership preparata e appassionata. Nel Paese, invece, assistiamo da anni a un evidente vuoto di leadership competente e autorevole. Per essere precisi molto più nella società civile, istituzionale e politica che non nelle imprese, sempre più spesso abituate a misurarsi in un mondo economico globalizzato. Viviamo in un contesto dove tutto è sempre meno prevedibile e dove sono cadute le distinzioni tra pubblico e privato, tra forma e contenuto, dove si chiede alle persone sempre maggior coinvolgimento e invece assistiamo, per tutta risposta, a un sempre minore sentimento di appartenenza verso le istituzioni e le organizzazioni, pubbliche e private. La leadership a cui siamo stati abituati è in netto declino. Oggi sempre di più si chiede competenza e trasparenza, integrità etica e statura morale. Non si richiedono eroi ma persone vere, autentiche, disposte a “metterci la faccia”, a rischiare in proprio. Chi è ammalato di protagonismo e mette l’io davanti al noi non può candidarsi a condurre le organizzazioni del nuovo millennio. Non ci vogliono fuoriclasse, ma persone in grado di costruire squadre competitive. Come diceva Michael Jordan, “con il talento si vincono le partite, ma è con il lavoro di squadra e l’intelligenza che si vincono i campionati”.

Davanti a questi passaggi epocali i professionisti delle risorse umane sono chiamati a nuove sfide, ad un tempo terribili e appassionanti. Come diceva George Bernard Shaw

“sia l’ottimista sia il pessimista danno il loro contributo alla società. L’ottimista inventa l’aeroplano, il pessimista il paracadute”

Personalmente credo che noi saremo in grado di volare in alto. Scelgo quindi di essere ottimista. Ci si sente meglio.

 

Dall’articolo di apertura di Paolo Iacci, Presidente AIDP Promotion, Presidente Eca, Università statale di Milano

 

N.B. Gli atti congressuali con gli speaker, il book, i video delle plenarie e delle sessioni parallele (accessibili solo per i congressisti), le interviste e il reportage fotografico, continuano sul sito AIDP: congresso.aidp.it/2022

 

Direzione del Personale è l’House Organ ufficiale di AIDP e il trimestrale con più lunga storia nel panorama della letteratura manageriale italiana. La stretta collaborazione tra il comitato di redazione e i gruppi regionali dell’Associazione garantisce un osservatorio permanente nel settore unico in Italia. Con le sue 5.000 copie è oggi in Italia la più letta rivista del settore.

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