Wabtec ha sempre dimostrato un’attenzione particolare alla gestione delle sue persone: “people first” è infatti uno dei principi cardine della cultura aziendale, che si concretizza nella ricerca continua di un’esperienza lavorativa che sia stimolante, arricchente e valorizzi ogni risorsa nella sua unicità.
In questa intervista, Teresa Tacchi, HR Auditor di Top Employers Institute che ha seguito da vicino il percorso di Certificazione di Wabtec durante gli ultimi 3 anni, chiede a Simona Cafarelli, Wabtec HR Country Director, di approfondire tematiche legate alla diversità, all’inclusione e alla responsabilità nei confronti delle persone in azienda e non solo.
- Abbracciare la diversità, creando un ambiente di lavoro a cui tutti sentano di appartenere, è uno dei valori fondanti della vostra organizzazione, e l’integrazione di una persona detenuta ne è una forte espressione. Come è nata questa iniziativa?
Qualche anno fa un nostro dipendente somministrato è stato arrestato per un reato commesso al di fuori dell’attività lavorativa. Dopo un periodo di detenzione, durante il quale abbiamo ricevuto una lettera di scuse per l’accaduto, è stato sottoposto agli arresti domiciliari. Spontaneamente, ci siamo allora attivati per capire come restituirgli continuità, dignità e fiducia: grazie al supporto della società di somministrazione, dopo qualche mese siamo riusciti ad accoglierlo nuovamente in azienda.
Questa esperienza ci ha mostrato come, anche in contesti complessi, il lavoro sia uno strumento di inclusione e riscatto. Da qui è nata l’idea di strutturare un’iniziativa che fosse coerente con i nostri valori aziendali di apertura e valorizzazione delle diversità. Invitati da UI e Fondazione Musy a partecipare al webinar sul progetto di reinserimento professionale dei detenuti, abbiamo subito colto l’occasione per replicarlo, attivando una collaborazione con il carcere di Torino – Casa Circondariale Lorusso e Cutugno e l’agenzia per il lavoro Gi Group.
- Promuovere una cultura dell’errore e dell’innovazione, che consente alle persone di sperimentare ed esprimere le proprie idee senza il timore di giudizi o conseguenze negative, è una delle HR Best Practices osservate recentemente tra i Top Employers. Come si inserisce la vostra iniziativa in questo quadro?
Crediamo che l’innovazione nasca dalla libertà di esprimersi, proporre idee nuove e anche sbagliare. Coerentemente con questa convinzione, la nostra iniziativa nasce da un’esperienza concreta e dal desiderio di trasformarla in valore condiviso, seguendo un approccio umano e sperimentale,
Integrare una persona detenuta nel contesto lavorativo è stata una sfida nuova, affrontata progressivamente senza protocolli prestabiliti. L’esperienza ha rafforzato in noi l’idea che dare spazio all’errore e al confronto aperto generi una crescita reale: un esempio concreto di come la cultura dell’innovazione si nutra di coraggio, fiducia e inclusione.
- Come è stato recepito in azienda l’arrivo del nuovo collega, e come avete affrontato eventuali criticità?
Il collega è stato accolto con curiosità, qualche (legittima) incertezza iniziale, ma soprattutto con grande senso di responsabilità. Per preparare il dipartimento che lo avrebbe accolto e con il supporto di Serendipity SRL, abbiamo organizzato un workshop intitolato “Sbagliando si impara”: uno spazio di confronto aperto e consapevole in cui affrontare eventuali dubbi e paure in modo trasparente, valorizzando il ruolo di ciascuno nel creare un ambiente di lavoro accogliente. L’approccio partecipativo seguito in questa occasione è stato determinante per trasformare le iniziali criticità in occasioni di crescita collettiva.
- Da ormai diversi anni siete certificati Top Employer, un riconoscimento del vostro impegno a migliorare continuamente le vostre pratiche HR. Come ha contribuito questa esperienza al vostro percorso come organizzazione che eccelle nella gestione delle risorse umane?
Essere certificati Top Employer rappresenta per noi uno stimolo continuo ad evolverci, mettendo davvero le persone al centro. L’esperienza di accogliere una persona detenuta ha rappresentato un momento di forte coerenza tra valori e azioni, che ci ha portati a riflettere sul significato profondo dell’inclusione, allargando il concetto di “diversità” a contesti fino ad allora inesplorati.
- Quali sono stati i risultati osservati, e quali le prospettive future?
C’è stato un impatto positivo a livello sia umano che organizzativo. Sperimentare in prima persona cosa significhi costruire un ambiente inclusivo ha rafforzato il senso di coesione e responsabilità condivisa. Per il collega detenuto, il lavoro è diventato uno spazio importante di fiducia e crescita personale.
Per il futuro, stiamo valutando di incrementare le opportunità lavorative in partnership con l’istituto penitenziario di Torino. Inoltre, abbiamo stipulato una convenzione per inserimento di personale tramite la Cooperativa Orso Blu, in direzione di una cultura aziendale sempre più aperta, capace di valorizzare ogni percorso umano.
- Quali consigli dareste ad altre aziende che stanno valutando di affrontare una sfida simile?
Innanzitutto, non aspettate la perfezione: l’esperienza si costruisce facendo, ascoltando e aggiustando il tiro lungo il percorso, mantenendo un approccio autentico e non giudicante. Coinvolgere i colleghi fin dall’inizio è fondamentale, così come creare spazi di ascolto, formazione e dialogo. Uno dei momenti più impattanti è stata la visita al carcere di Torino: abbattendo stereotipi e pregiudizi, ci ha mostrato che dietro ogni storia ci sono persone con le proprie fragilità, ma anche tanta voglia di riscatto.
Un altro aspetto chiave è la collaborazione con enti del territorio: istituzioni, associazioni, professionisti che conoscono le dinamiche del reinserimento. Infine, ricordarsi sempre che un progetto come questo arricchisce non solo chi viene accolto, ma tutta l’organizzazione. È una sfida, sì, ma anche una grande opportunità di evoluzione culturale.

Simona Cafarelli
Wabtec HR Country Director
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