Da sempre la figura del capo, in un’azienda, è argomento molto dibattuto. Sia da parte dei dipendenti, che dal top management. Quante volte, al caffè, in pausa, sentiamo frasi tipo: “il mio capo non lo sopporto, non è in grado”, oppure “al mio capo chiedo appuntamento per confrontarci su alcuni problemi e non è mai disponibile”. Frasi come queste sono, più o meno, all’ordine del giorno in tante aziende e sono motivo di disagio, demotivazione dei collaboratori oltreché di pesanti critiche.
E, d’altra parte, quante volte in situazioni di generale scontento o abbassamento degli indicatori relativi al morale della forza lavoro, il top management dell’impresa mette da parte il tema con la semplicistica diagnosi: “abbiamo una crisi del middle management” o, ancora, “i nostri capi intermedi sono l’anello debole della catena”!
A cavallo della pandemia e con il diffondersi del lavoro in modalità smart work, il dibattito si è amplificato. Quale è il ruolo del capo in un’azienda smart? Ma ci servono ancora i capi, i quadri intermedi? E quale è il loro profilo? A quale preparazione devono sottoporsi?
Domande giuste, importanti. Per dare la risposta, basta partire dal basso, dalle prime linee, dai giovani appena assunti in azienda. E la risposta è unanime: sì, mi serve un capo, un riferimento, una guida. Che mi faccia capire il mio lavoro, mi assegni dei compiti, degli obbiettivi. Che mi aiuti a risolvere i problemi, a dirmi come affrontare le situazioni complesse. Che mi faccia capire in che direzione va l’azienda.
Più si lavora da remoto, più vi è il bisogno di un avere un contatto, un riferimento con cui confrontarsi. Che sia virtuale o fisicamente presente, deve esserci, e deve essere raggiungibile. Proprio per evitare il rischio di isolamento, che il lavoro da remoto può generare.
Vediamone, allora, il profilo, in questi nuovi contesti organizzativi, che questa emblematica figura deve avere.
Spesso si dà per scontato che fare i capi sia molto facile e che, come mansione, possa essere ricoperta da tutti, indistintamente. Non è assolutamente così. Non tutti possono diventare capi, o manager, non tutti hanno la competenza giusta o la preparazione, o il profilo. Non ci si improvvisa a fare i manager.
Essere capo di una business unit, gestire un team di persone, è un compito molto difficile, che richiede impegno, dedizione, capacità; spesso particolare sensibilità. Sopra tutte, la capacità di ascoltare.
Tutte virtù, queste, che una persona non può improvvisare.
È importantissimo il rapporto che si instaura tra capo e collaboratore. Il capo dà le direttive, ha il dovere di ascoltare i propri collaboratori, costantemente; farli crescere. Deve trasmettere positività ai componenti del team, ascoltare con attenzione chi sta lavorando per capire i problemi ricorrenti e risolverli.
Un bravo capo deve essere capace di trasmettere entusiasmo e voglia di fare. Se un team è composto da risorse che non sono uguali tra di loro caratterialmente o che approcciano il lavoro in modo diverso, il capo deve essere capace di armonizzare le diversità, guidare il team e i singoli componenti verso l’obbiettivo.
Per diventare capi di valore e gestire un team di persone diventa cruciale investire in formazione continua, scegliere le migliori persone, con specifiche qualità sulle quali potere investire e infondere un sentimento di fiducia.
Circa la formazione, lo sviluppo delle competenze diventa cruciale per una risorsa che ambisce a diventare un capo.
È compito del top management identificare i potenziali manager, tra i professionisti che già dimostrano di possedere le giuste attitudini, quindi procedere con un apposito programma di formazione, sia base che continua. Soprattutto, è importante che il middle manager infonda messaggi chiari e fiducia.
Se entusiasmo, dedizione, voglia di fare, spirito di collaborazione vengono trasmessi in ottica top-down dalle persone giuste verso le persone giuste, ci sono alte probabilità che il successo sia garantito.
È certo, di converso, che in mancanza di management intermedio di valore e di spessore, l’azienda ha ben poche possibilità di essere vincente e riconosciuta sul mercato. Soprattutto la presenza in azienda di capi inadeguati, che non infondono voglia di fare ai componenti del team, che non ascoltano, inaccessibili, è la ricetta perfetta per creare un clima di scoraggiamento e demotivazione; lontano, quindi, dalle prerogative tipiche di una excellent company.
Oggi viviamo un’epoca di grande cambiamento, si diceva, per tanti motivi diversi, e diverse sono le dinamiche organizzative, lavorative, operative. È richiesto oggi, più che mai, un ripensamento dei modelli organizzativi e di leadership, che si snodi lungo la catena delle competenze, dei ruoli, delle mansioni. Resta centrale il ruolo del capo intermedio, che deve essere il collante tra le strategie d’impresa e le risorse che devono quindi essere vincenti sul mercato.
Spetta al top management, alla leadership, il compito di comprenderne il significato pieno, di ridisegnare il modello organizzativo, sottolineando il ruolo e la responsabilità primaria del capo in questo nuovo contesto.
Chi sa fare il capo, sa trasmettere positività e l’azienda non può che essere vincente.
Andrea Catania lavora in IBM da 24 anni, nel Sales e Marketing e nutre una grande passione verso le tematiche Human Resources.
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Marco Biscotti
concordo e interpreto con un
pay off: CAPO NON E’ PER TUTTI!
Spesso in aziende poco attente alle
Skills necessarie, si promuovono
Risorse per anzianita’ o per risultati
Ottenuti , spesso nelle vendite.
Ma il CAPO deve essere il DIRETTORE
Di un orchestra, spesso passare dal ruolo di SOLISTA , non equivale
A gestire e trasmettere i valori.
E’ difficile mettere a sistema e rendere
Fruibili le strategie vincenti di un FUORICLASSE ad una platea eterogenea per esperienze e caratteri.