Produttività Generativa: la nuova frontiera per i Direttori del Personale
“Non contare i passi. Conta le orme.”
– Proverbio africano
Negli ultimi venticinque anni, l’economia italiana ha vissuto una crescita lenta: il PIL è aumentato in media dello 0,5% annuo, meno della metà rispetto all’Eurozona. Nel secondo semestre del 2025 si segnala un rallentamento dello -0,1%. Eppure, l’occupazione è cresciuta e le ore lavorate in Italia restano superiori a Francia e Germania. Il paradosso è chiaro: lavoriamo di più, ma non meglio.
La nuova occupazione si è concentrata in settori a basso impatto sulla produttività – costruzioni, sanità, assistenza, ristorazione – mentre abbiamo perso terreno in ambiti strategici come tecnologia e innovazione. A ciò si aggiunge un ritardo negli investimenti immateriali: tra il 2021 e il 2024 solo il 32% delle imprese italiane ha investito in software, R&S e capitale organizzativo. Il problema non è solo economico, è culturale. Per vent’anni abbiamo inseguito un’unica equazione: produrre di più, in meno tempo, riducendo i costi. Il risultato? Una produttività oraria cresciuta appena del 4% tra il 2000 e il 2024, contro il +20% della Germania e il +30% dei Paesi Bassi (dati OCSE). Nel frattempo, sono aumentati stress, turnover, richieste di supporto psicologico, demotivazione. Stiamo spingendo l’acceleratore senza generare vero valore. Il filosofo Ivan Illich parlava di “produttività negativa”: quando gli effetti collaterali del produrre iniziano a divorare i benefici. Siamo oggi al limite di quella soglia.
I salari restano bassi per una causa strutturale: la scarsa produttività. Come ricorda Giorgio Merli, non si può aumentare in modo sostenibile il livello medio delle retribuzioni senza agire sulla capacità del sistema economico di generare valore. Solo un miglioramento consolidabile della produttività può creare le condizioni per una crescita reale dei salari.
La dimensione aziendale incide profondamente: in Italia il 95% delle imprese ha meno di dieci addetti e solo il 17% delle imprese italiane esporta (25% nel manifatturiero). A tutto questo si sommano fattori strutturali: bassa diffusione di competenze digitali (solo il 16% dei lavoratori possiede competenze ICT avanzate), skill mismatch, invecchiamento della forza lavoro, divari territoriali e generazionali, burocrazia difensiva.
Eppure, l’Italia possiede un patrimonio invisibile ma vitale: capitale sociale diffuso, straordinaria capacità di cura e relazione, sensibilità alla cultura e alla creatività. È su questo che possiamo
costruire una nuova idea di produttività: una produttività generativa che non si misura solo in output, ma in ciò che resta nei corpi, nei legami, nei significati, nel tempo.
Le organizzazioni generative sono quelle in cui le persone tornano a casa nutrite, non svuotate. Dove il clima relazionale è basato sulla fiducia, non sulla sorveglianza. Dove il lavoro è occasione di espressione, non solo necessità. Dove la cura degli spazi e la connessione con il contesto è fonte di senso.
Per i direttori del personale, questo significa misurare come vantaggio competitivo ciò che oggi sfugge agli indicatori tradizionali: benessere emotivo, bellezza dell’esperienza lavorativa, coerenza
tra valori dichiarati e pratiche quotidiane. Per i lavoratori, significa superare la visione del lavoro come semplice fonte di reddito e riconoscere nel lavoro un’opportunità di crescita e di creazione di identità.
Il nostro cervello, per esprimere al meglio le proprie capacità produttive e creative, ha bisogno di attivare il circuito della ricompensa, non quello della minaccia. Quando prevalgono stress e frenesia, le energie mentali si riducono e la prestazione ne risente: è in ambienti sicuri e motivanti che la mente può davvero generare valore.
Questo mette al centro il tema di una leadership capace di sviluppare fiducia, responsabilità e autonomia nelle persone. È indispensabile costruire ambienti di lavoro che si prendano cura della qualità dell’aria emotiva, prevenendo logoramento e disimpegno, anziché intervenire solo quando i danni sono evidenti. Come scriveva Martha Nussbaum, una società è giusta solo se permette a ogni persona di sviluppare le capacità necessarie per condurre una vita piena, degna e significativa.
Parlare, dunque, oggi di produttività significa scegliere che impronte vogliamo lasciare: macchine burocratiche e corpi esausti, oppure organizzazioni capaci di rigenerare economie, vite, comunità, territori.
Dall’editoriale di
Maria Emanuela Salati
IN COPERTINA
Adriano Attus
Numerage. Quinta Serie, tav #02
Collage di carta da quotidiano su cartoncino, 100 x 70 cm.
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