Il 19 settembre 2025 a Bologna si è tenuto il convegno “L’INCLUSIONE CHE FA BENE” organizzato da UECOOP pensato come un approfondimento sullo strumento della Convenzione ex art.14 D.Lgs 276/03 utile per rispettare gli obblighi previsti dalla legge 68/99 e prima tappa di un tour informativo che toccherà altre regioni.
Nel bellissimo contesto della Sala Marco Biagi di via S. Stefano a Bologna, ho avuto la possibilità di portare una testimonianza sul tema, rappresentando l’area della Responsabilità Sociale di AIDP e la Fondazione AIDP lavoro e sostenibilità ad una platea di rappresentanti delle istituzioni locali e responsabili di cooperative sociali. Oltre a me hanno dato un contributo interessante anche i colleghi soci di AIDP Alessandro Camilleri Group HR and Organization Director HERA e Gianluca Tittarelli Director P&C Philip Morris Manufacturing & Technology Bologna S.p.A.

Il punto di partenza della mia riflessione è stato ovviamente il concetto della Responsabilità Sociale d’impresa che è molto ampio e tocca tanti aspetti: l’impresa socialmente responsabile è una impresa che non solo nella definizione della strategia, ma anche nei comportamenti di gestione quotidiani, considera gli interessi di tutti gli stakeholders e gli impatti a livello anche sociale e territoriale. Uno dei maggiori ostacoli a far passare questo modo di ragionare è la difficoltà di superare l’ormai obsoleta dicotomia tra sfera dell’economico e sfera del sociale e diffondere la cultura della reciprocità che risulta un concetto poco ‘frequentato’: “la reciprocità è un dare senza perdere e un prendere senza togliere” dunque sostanzialmente un moltiplicatore di energie e risorse. (cit. prof. Stefano Zamagni). Non sempre il management aziendale è culturalmente pronto a cogliere questi aspetti; come Responsabili HR possiamo usare alcune leve per far aprire le organizzazioni a questi concetti. Una di queste è l’aggancio con il tema del WELFARE in particolare con le sue auspicate linee evolutive che già oggi possiamo osservare in alcune organizzazioni pioniere. Tra queste abbiamo:
– Equiparazione del concetto di benessere ad elemento di BENE COMUNE ed elevazione a strumento per risolvere i problemi di rapporto tra generazioni, tra territori diversi (centrali e periferici), i meccanismi di partecipazione, il supporto alle famiglie, ridurre le conflittualità. Dunque, in qualche modo possiamo dire che ha un valore “politico” nel senso di partecipare alla “cosa pubblica”.
– COINVOLGIMENTO pieno e collaborazione di tutta la società locale, in particolare delle strutture territoriali, lavorare in maniera sistematica secondo logiche di solidarietà sociale, che facciano uscire il welfare dai confini delle singole aziende e organizzazioni: un esempio è l’utilizzo di forme di co-progettazione e di mutuo aiuto secondo un approccio partecipativo. Dunque, includere persone in situazioni di fragilità in collaborazione con cooperative sociali collegate al territorio è una scelta più che mai coerente con l’obiettivo.
(Di interesse in questo senso è da segnalare il protocollo d’intesa con il Consorzio Cascina Clarabella presentato da Ettore Prandini – Presidente di UE.Coop che è anche presidente nazionale di Coldiretti).
In questo contesto il valore della collaborazione con le cooperative sociali è davvero fondamentale: infatti la complessità delle organizzazioni e il continuo cambiamento di priorità rappresentano spesso ostacoli a preparare in maniera ottimale i luoghi di lavoro in termini di postazioni lavorative, ambienti, competenze relazionali dei colleghi, regole sugli orari, aspettative sulla produttività…ecc.
Dunque, poter contare sulle competenze e esperienza delle cooperative sociali è sicuramente vincente. Innanzitutto, per ottenere un giusto matching tra le esigenze espresse dalle aziende e le possibilità e capacità che le cooperative possono mettere in campo.
Per esperienza diretta posso dire che tra le cooperative si trovano fornitori molto qualificati di prodotti, servizi o lavorazioni, che si distinguono per attenzione agli aspetti di sostenibilità che in altri non si trovano. In secondo luogo, sono realtà che possono contare su operatori preparati e qualificati per interagire con le persone fragili, metterle in condizioni di dare il meglio. Soprattutto le aziende medio-piccole possono beneficiare di questo tipo di collaborazione e dare applicazione agli obblighi inerenti alla normativa legata al collocamento mirato in maniera efficace, proprio con l’applicazione dell’art.14 (in Emilia Romagna art .22). Il supporto formativo alle persone è sicuramente uno degli elementi distintivi, ma non soltanto quello offerto alle persone assunte direttamente dalle coop, ma potenzialmente e indirettamente anche alle persone che lavorano nelle aziende per apprendere come relazionarsi e interagire con persone con fragilità.
Una delle sfide più grandi per le cooperative è quella di far comprendere il valore di questi contributi che giustifica anche il maggiore costo dei servizi offerti, rispetto al mercato. C’è sicuramente spazio per migliorare la capacità di comunicare i motivi dei maggiori costi, dando valore al contributo professionale che sono in grado di portare e ai tanti aspetti legati alla SOSTENIBILITÀ. Collegare queste azioni alla rendicontazione di sostenibilità e misurazione dell’impatto sociale che coinvolge sempre più aziende è una chiave molto utile: questa, infatti, sta diventando un elemento sempre più importante per le aziende più evolute e dunque di valore.
Ho infine chiuso con una riflessione sulla sperimentazione del co-working protetto, pensata per le persone con neurodivergenze come particolare forma di collaborazione: il lavoro da remoto e le forme di coworking offrono una grandissima possibilità di combinarsi con le esigenze di persone con neurodiversità e capacità particolari che si possono realizzare pienamente con strumenti informatici, operando in contesti protetti. Da una parte rappresenta una possibilità di ampliare la gamma di servizi offerti (non più solo giardinaggio, confezionamento, …) e a strutturare opportunità professionali per persone che diversamente non riuscirebbero ad inserirsi nei contesti ‘ordinari’ di lavoro, in ambienti lavorativi rumorosi o troppo luminosi, ecc. Dall’altra le aziende, creandosi le migliori condizioni di luogo e di contesto, possono avvalersi del contributo di persone con capacità che diversamente non potrebbero essere espresse e realizzate, e rappresenterebbero dunque uno spreco di energie e motivazioni.
Rossella Seragnoli
Referente AIDP Responsabilità Sociale
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