La questione dei c.d. «furbetti» ha tenuto banco nell’opinione pubblica degli ultimi mesi. Indagini, arresti, licenziamenti e modifiche normative hanno cambiato radicalmente l’impianto operativo del controllo dei lavoratori sia nel settore privato che nella pubblica amministrazione.
C’è da una parte l’avvento del Jobs Act per i lavoratori del settore privato e dall’altra l’approvazione dei decreti attuativi voluti fortemente dal Ministro Madia e approvati dal Consiglio dei Ministri. Il tutto per regolamentare le azioni di prevenzione e contrasto degli illeciti ad opera dei dipendenti pubblici.
Il punto focale, in entrambi i casi, è la possibilità di installare impianti audiovisivi finalizzati al controllo di eventuali illeciti e l’introduzione esplicita e forte del concetto di tutela aziendale.
Per il privato si conferma la possibilità di intervenire con il supporto di società investigative terze, a tutela del patrimonio e del benessere aziendale.
E anche nel pubblico le cose si evolvono in tal senso. Storicamente, in caso di reato ad opera di dipendenti, la PA si affidava, ove possibile, alle indagini delle forze di polizia ed evitava il ricorso alle compagnie private per il timore di poter incappare nei rilievi della Corte dei Conti per danno erariale dovuto al mancato impiego delle forze di polizia.
Oggi ricorrere alle forze di polizia vuol dire distrarre la sicurezza pubblica da compiti prioritari, quali i pericoli legati al terrorismo. Ed anche per questo qualcosa sta cambiando, c’è un atteggiamento diverso.
Il fatto che il Governo Renzi abbia recentemente sottolineato, accanto alla responsabilità del «furbetto» anche quella del suo dirigente, potrebbe indurre la pubblica amministrazione ad avvalersi di servizi investigativi privati, ad aziende che possano svolgerlo con professionalità e con un onere economico non particolarmente significativo, marginale se raffrontato al danno evitato.
A conferma, una recente sentenza della Corte dei Conti apre alla legittimità all’utilizzo delle società investigative nella PA: nella sentenza depositata il 22 gennaio scorso, la seconda sezione giurisdizionale centrale della Corte dei Conti ha accolto l’appello di un dirigente pubblico inizialmente condannato al pagamento del danno erariale derivato dall’ingaggio di una società investigativa nella raccolta prove a carico di un dipendente infedele. Secondo la Corte giudicante fu legittimo pagare un investigatore per pedinare un dipendente, ovvero è legittimo ricorrere ad un’agenzia investigativa nella PA, tenuto conto che gli elementi raccolti dagli investigatori hanno consentito al giudice del lavoro di confermare la legittimità della sanzione disciplinare al dipendente infedele, tenuto anche al risarcimento dell’intero danno cagionato alla società.
Generale Michele Franzè
Presidente di Axerta Spa, ex vice comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, già Vice Direttore dell’Agenzia Informazioni e Sucurezza Esterna (AISE)
Spunti e anticipazioni dal
Congresso #AIDP2016 Scommettiamo su Persone e Lavoro!
Bari, 27 e 28 maggio 2016
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